Una famiglia con due bambini, un maschio ed una femmina. I genitori cercano di crescere entrambi il più possibile liberi da stereotipi legati al genere, lasciando che siano loro a scegliere le attività da svolgere, indipendentemente dal fatto che esse siano di solito etichettate come maschili o femminili: giocano a palla, corrono, sfogliano libri, cucinano o fingono di farlo, si trasformano in animali o in cabarettisti, usano bambole, pentolini, colori e pupazzi. In casa si parla spesso del fatto che ogni individuo deve essere libero di essere ciò che sente di essere, nel rispetto della libertà altrui e che “le cose da maschi” e “le cose da femmine” possono piacere o non piacere al di là del genere di appartenenza.
Ma non è semplice educare in tal senso, poiché siamo letteralmente circondati da stereotipi e noi stessi ne siamo, talvolta anche inconsapevolmente, portatori. Difatti, nonostante l’impegno profuso, la figlia minore, oltre ad affermare che il suo colore preferito è il rosa – e fin qui nessun problema -, è convinta che quello di suo fratello sia il blu, cosa che sostiene fermamente anche quando lui stesso le ribadisce più volte che il suo colore preferito è da sempre il giallo.
Si tratta solo di un esempio della tendenza dei più piccoli ad affermare il proprio pensiero anche a fronte di evidenze differenti, o si può leggere come un segnale dell’esposizione, involontaria ma inevitabile, agli stereotipi di genere?
Certo è che l’influsso dei modelli culturali basati su ruoli predefiniti è molto presente nella nostra società e tende a infiltrarsi anche in contesti caratterizzati da un approccio accogliente e valorizzante l’individuo in quanto tale.