Educare al rispetto.

Per favore. Grazie. Scusa. 
Parole semplici, magari scontate, ma con un grande valore intrinseco, legato al riconoscimento ed al rispetto dell’altro. In una realtà sempre più egocentrica ed emotivamente disconnessa, dove gli educatori faticano a dare linee guida alle nuove generazioni, io riparto da qui. Far comprendere ai bambini (e non solo!) l’importanza di queste parole e del loro utilizzo rappresenta l’inizio di un percorso di presa di coscienza dell’altro come di una persona meritevole di attenzione e riguardo. 
Non si tratta solo di pronunciarle, ma di sentirle vere dentro di sé. Si tratta di comprendere che ciò che stiamo chiedendo all’altro “per favore” implica un suo sforzo, piccolo o grande che sia, e ringraziarlo esplicitamente per questo  con un “grazie” è una forma di ricompensa simbolica, che esprime riconoscenza. Scusarsi per un gesto sbagliato o per una parola uscita male, siano questi volontari o meno, è per alcuni particolarmente difficile, poiché implica il dover ammettere di aver commesso un errore o perché viene visto come segno di debolezza; riuscire a farlo, invece, è un atto fondamentale per provare a risanare il torto fatto e spesso può smorzare nettamente la tensione creatasi. La parola “Scusa”, quindi, può diventare uno strumento di potere positivo.

E allora, proviamo a rendere queste tre parole protagoniste della nostra quotidianità, non come vuota ripetizione, ma come atto riflessivo su di noi e sugli altri. 

Partiamo da noi. I bambini ci seguiranno a ruota!

Questione di genere? 

Una famiglia con due bambini,  un maschio ed una femmina. I genitori cercano di crescere entrambi il più possibile liberi da stereotipi legati al genere, lasciando che siano loro a scegliere le attività da svolgere, indipendentemente dal fatto che esse siano di solito etichettate come maschili o femminili: giocano a palla, corrono, sfogliano libri, cucinano o fingono di farlo, si trasformano in animali o in cabarettisti, usano bambole, pentolini, colori e pupazzi. In casa si parla spesso del fatto che ogni individuo deve essere libero di essere ciò che sente di essere, nel rispetto della libertà altrui e che “le cose da maschi” e “le cose da femmine” possono piacere o non piacere al di là del genere di appartenenza. 
Ma non è semplice educare in tal senso, poiché siamo letteralmente circondati da stereotipi e noi stessi ne siamo, talvolta anche inconsapevolmente, portatori.  Difatti, nonostante l’impegno profuso, la figlia minore, oltre ad affermare che il suo colore preferito è il rosa – e fin  qui nessun problema -, è convinta che quello di suo fratello sia il blu, cosa che sostiene fermamente anche quando lui stesso le ribadisce più volte che il suo colore preferito è da sempre il giallo.

Si tratta solo di un esempio della tendenza dei più piccoli ad affermare il proprio pensiero anche a fronte di evidenze differenti, o si può leggere come un segnale dell’esposizione, involontaria ma inevitabile, agli stereotipi di genere?

Certo è che l’influsso dei modelli culturali basati su ruoli predefiniti è molto presente nella nostra società e tende a infiltrarsi anche in contesti caratterizzati da un approccio accogliente e valorizzante l’individuo in quanto tale.

Un nuovo inizio

Ogni nuovo inizio apre le porte del possibile. Se per certi versi ciò rappresenta uno stimolo di crescita personale, per altri può trasformarsi in un’incommensurabile fonte d’ansia e di preoccupazione. Iniziare un nuovo corso di studi, un nuovo lavoro, una nuova relazione ci mette a confronto con variabili sconosciute e può favorire l’affiorare delle nostre paure ed insicurezze più profonde: “Sarò all’altezza?”, “Cosa penseranno gli altri di me?”, “E se non sono abbastanza bravo/intelligente/simpatico?” e così via. Se i timori assumono dimensioni ingombranti, si rischia di lasciarsene inconsapevolmente condizionare fino a farli diventare reali. Se mi convinco che non ce la farò, lasciando che siano i ricordi dei piccoli e grandi fallimenti del passato a guidare i miei pensieri e le mie azioni, i miei passi saranno incerti e più facilmente cadrò e fallirò ancora una volta. Se invece metto a fuoco le mie risorse e capacità e faccio in modo che siano i ricordi dei miei successi a prendere il timone, i passi si faranno più sicuri, spediti e capaci di trovare la strada giusta. 
Ognuno di noi ha nel proprio bagaglio sia esperienze negative sia di efficacia personale; quelle che sceglieremo come bussola tenderanno ad auto-rinforzarsi e metteranno in evidenza ciò che della nuova situazione è più vicino ad esse.

Qualunque sia l’ambito di vita in cui il cambiamento si sta attuando, dunque, in esso si sta manifestando l’opportunità di ridefinire noi stessi, di ridisegnare i nostri confini ed aggiungere sfumature, arricchendo e migliorando l’immagine che abbiamo di noi e che rimandiamo al mondo: perché non coglierla?

Buon inizio!

“Ma che cosa devo dire?”

A volte di fronte ad uno psicoterapeuta oppure all’idea di incontrarne uno ci chiediamo:”Ma che cosa devo dire?”
Ciò che si sente. Ciò che viene. Non ci sono obblighi. In un percorso di psicoterapia si impara pian piano a parlare con sé stessi, ad ascoltarsi senza giudicarsi, a lasciar fluire liberamente eloquio, pensiero ed emozione. Il terapeuta ci accompagna in questo viaggio d’esplorazione interiore, ma siamo noi di volta in volta a trovare il sentiero. Lo psicologo ci ascolterà, accoglierà ciò che emerge da noi, ci aiuterà a porci nuove domande ed a scoprire nuove prospettive da cui osservarsi; ma non ci darà le risposte che cerchiamo: ci porterà a trovarle dentro di noi. 

Spesso capita che qualcuno cerchi di imporci la sua visione della vita o di convincerci a seguire i suoi consigli;  altrettanto frequentemente noi stessi cerchiamo qualcuno che ci dica se stiamo facendo le giuste scelte o che ci indichi cosa fare. 

Siamo abituati a conversazioni basate sull’esprimere e ricevere opinioni, sul decretare cosa è giusto e cosa è sbagliato, qualunque sia l’argomento, e ci aspettiamo che l’altro esponga il suo punto di vista. 

Così, trovarsi di fronte ad un terapeuta che ascolta realmente, con silenziosa attenzione, le nostre parole -ed insieme ad esse tutto il nostro essere-, in un clima di sospensione del giudizio, può paradossalmente essere spiazzante all’inizio e rendere più difficile la comunicazione. Veniamo di fatto messi di fronte a noi stessi, invitati a lasciar cadere tutte le etichette proprie ed altrui che nel tempo ci si sono attaccate addosso. In questo modo, in realtà, abbiamo la possibilità di ritrovare la nostra essenza e riscoprire un atteggiamento verso noi stessi e verso il mondo più profondo e consapevole. Perciò, l’importante non è avere qualcosa da dire al terapeuta, bensì predisporsi ad  ascoltare ciò che noi stessi abbiamo da dirci.

Fertility Day

 
Fertility Day… Un’occasione persa per iniziare davvero a fare la differenza. Una giornata per celebrare la fertilità avrebbe potuto essere un inno alla vita in tutte le sue sfaccettature, poiché fertile non è solo chi può mettere al mondo un figlio. Fertile è tutto l’essere umano, non solo -e non sempre- il suo apparato riproduttivo.

Fertile è chi dona la vita, in qualunque modo questo accada: un genitore adottivo che permette la rinascita di un bambino abbandonato, un insegnante che risveglia nell’allievo l’amore per la conoscenza, un individuo impegnato nel sociale che promuove valori ed ideali. 

Menti fertili e animi fertili, oltre che corpi fertili.

Prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, conoscenza e rispetto del proprio corpo, accompagnamento alla genitorialità responsabile sono tematiche imprescindibili. Ma finché tutto sarà valutato solo numericamente e statisticamente, finché la preoccupazione principale sarà quella di incrementare il numero di nuovi nati, anziché di favorire la creazione di un ambiente di vita più sano, etico e positivo per le generazioni future, ecco che la società stessa diventerà sempre più sterile e grigia. 

Se dall’alto faticano a cambiare prospettiva, iniziamo a farlo noi: riscopriamo e valorizziamo la fertilità che ci caratterizza, qualunque forma essa abbia assunto in noi e rendiamo con essa il mondo un luogo migliore!