A volte di fronte ad uno psicoterapeuta oppure all’idea di incontrarne uno ci chiediamo:”Ma che cosa devo dire?”
Ciò che si sente. Ciò che viene. Non ci sono obblighi. In un percorso di psicoterapia si impara pian piano a parlare con sé stessi, ad ascoltarsi senza giudicarsi, a lasciar fluire liberamente eloquio, pensiero ed emozione. Il terapeuta ci accompagna in questo viaggio d’esplorazione interiore, ma siamo noi di volta in volta a trovare il sentiero. Lo psicologo ci ascolterà, accoglierà ciò che emerge da noi, ci aiuterà a porci nuove domande ed a scoprire nuove prospettive da cui osservarsi; ma non ci darà le risposte che cerchiamo: ci porterà a trovarle dentro di noi.
Spesso capita che qualcuno cerchi di imporci la sua visione della vita o di convincerci a seguire i suoi consigli; altrettanto frequentemente noi stessi cerchiamo qualcuno che ci dica se stiamo facendo le giuste scelte o che ci indichi cosa fare.
Siamo abituati a conversazioni basate sull’esprimere e ricevere opinioni, sul decretare cosa è giusto e cosa è sbagliato, qualunque sia l’argomento, e ci aspettiamo che l’altro esponga il suo punto di vista.
Così, trovarsi di fronte ad un terapeuta che ascolta realmente, con silenziosa attenzione, le nostre parole -ed insieme ad esse tutto il nostro essere-, in un clima di sospensione del giudizio, può paradossalmente essere spiazzante all’inizio e rendere più difficile la comunicazione. Veniamo di fatto messi di fronte a noi stessi, invitati a lasciar cadere tutte le etichette proprie ed altrui che nel tempo ci si sono attaccate addosso. In questo modo, in realtà, abbiamo la possibilità di ritrovare la nostra essenza e riscoprire un atteggiamento verso noi stessi e verso il mondo più profondo e consapevole. Perciò, l’importante non è avere qualcosa da dire al terapeuta, bensì predisporsi ad ascoltare ciò che noi stessi abbiamo da dirci.