Violenza psicologica

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violenza psicologica

Esiste una violenza forse peggiore della violenza fisica: la violenza psicologica. Sono quelle parole umilianti, svalutanti, sprezzanti che lentamente e subdolamente ti penetrano nella mente, prendono il controllo dei tuoi pensieri e ti portano ad identificarti con esse. Così, piano piano, senza accorgertene, inizi a credere che quelle parole siano vere: che non vali abbastanza, che non hai la capacità di prenderti cura di te e magari dei tuoi figli. Pensi di non avere via d’uscita, perché quelle parole ti hanno convinta che l’inferno in cui ti trovi è solo colpa tua. E parlarne con qualcuno è quasi impensabile, perché hai paura che anche gli altri possano pensare quelle cose di te e giudicarti male.

All’inizio le parole erano come una brezza leggera, che scompiglia i capelli, ma in fondo non è poi così fastidiosa. Però nel tempo si sono trasformate in un vortice sempre più violento, forse non più solo verbale, sono diventate un tornado che ha completamente distrutto la tua autostima, il tuo mondo affettivo e le tue prospettive future. Ti hanno portato a sentirti sola ed impotente, circondata da persone che pensi non potranno mai capirti. Paradossalmente sono proprio quelle parole che ti incatenano dove sei e ti tolgono la forza per ribellarti.

Ma, se guardi bene, dentro di te troverai una piccola luce che continua a brillare, nonostante tutto, un’energia vitale che combatte strenuamente per tornare ad illuminarti ed aiutarti a ritrovare te stessa. Dalle una possibilità. Permettile di indicarti la strada, tra i meandri oscuri e spaventosi che dovrai attraversare per uscire da tutto questo. E così forse ti accorgerai anche che ci sono altre persone intorno a te, pronte a tenderti la mano, a camminare al tuo fianco per sostenerti e supportarti ogni volta che ne avrai bisogno. E alla fine di tutto potresti scoprire che puoi contare su te stessa, che puoi essere amata e amarti per ciò che sei e permetterti di tornare a vivere.

O di continuare a farlo.

“Ma che cosa devo dire?”

A volte di fronte ad uno psicoterapeuta oppure all’idea di incontrarne uno ci chiediamo:”Ma che cosa devo dire?”
Ciò che si sente. Ciò che viene. Non ci sono obblighi. In un percorso di psicoterapia si impara pian piano a parlare con sé stessi, ad ascoltarsi senza giudicarsi, a lasciar fluire liberamente eloquio, pensiero ed emozione. Il terapeuta ci accompagna in questo viaggio d’esplorazione interiore, ma siamo noi di volta in volta a trovare il sentiero. Lo psicologo ci ascolterà, accoglierà ciò che emerge da noi, ci aiuterà a porci nuove domande ed a scoprire nuove prospettive da cui osservarsi; ma non ci darà le risposte che cerchiamo: ci porterà a trovarle dentro di noi. 

Spesso capita che qualcuno cerchi di imporci la sua visione della vita o di convincerci a seguire i suoi consigli;  altrettanto frequentemente noi stessi cerchiamo qualcuno che ci dica se stiamo facendo le giuste scelte o che ci indichi cosa fare. 

Siamo abituati a conversazioni basate sull’esprimere e ricevere opinioni, sul decretare cosa è giusto e cosa è sbagliato, qualunque sia l’argomento, e ci aspettiamo che l’altro esponga il suo punto di vista. 

Così, trovarsi di fronte ad un terapeuta che ascolta realmente, con silenziosa attenzione, le nostre parole -ed insieme ad esse tutto il nostro essere-, in un clima di sospensione del giudizio, può paradossalmente essere spiazzante all’inizio e rendere più difficile la comunicazione. Veniamo di fatto messi di fronte a noi stessi, invitati a lasciar cadere tutte le etichette proprie ed altrui che nel tempo ci si sono attaccate addosso. In questo modo, in realtà, abbiamo la possibilità di ritrovare la nostra essenza e riscoprire un atteggiamento verso noi stessi e verso il mondo più profondo e consapevole. Perciò, l’importante non è avere qualcosa da dire al terapeuta, bensì predisporsi ad  ascoltare ciò che noi stessi abbiamo da dirci.